Qualche settimana fa mi capitato di leggere una news dell’Adnkronos ([1]) dal titolo:
Gli Usa vicini all’autosufficienza energetica, cambiano gli equilibri mondiali.
Cito testualmente:
“Entro dieci anni esporteranno gas e petrolio e non dovranno dipendere più dall’import di paesi politicamente instabili.
Mai come ora negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti sono vicini a raggiungere l’autosufficienza energetica… le risorse energetiche interne di Washington sono ora in grado di soddisfare l’81% della domanda di energia”
Ricorda poi che per gli USA l’ultimo anno di autosufficienza energetica è stato il lontano 1952.
Grazie alla ormai nota curiosità che mi attanaglia ( ), scopro che in realtà la fonte originale è un articolo di Bloomberg ([2]) del giorno prima, dal titolo:
Americans Gaining Energy Independence With U.S. as Top Producer
Riassumo in corsivo il contenuto.
Sono due decenni che gli Usa hanno un trend negativo nella loro indipendenza energetica.
Improvvisamente nei primi 10 mesi del 2011, l’81% del fabbisogno energetico interno di energia è stato coperto con fonti di provenienza nazionale, invertendo bruscamente tale trend.
In base ai dati estrapolati dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, tale percentuale sarebbe la più alta dal 1992.
In particolare l’estrazione di petrolio greggio, di provenienza nazionale è aumentata significativamente negli ultimi anni, raggiungendo il livello più alto dal 2003, ovvero 5,7 milioni di barili al giorno.
Lo stesso è avvenuto per il gas naturale, grazie anche all’espansione del settore delloshale gas, estratto con procedimenti di fratturazione degli strati di roccia bituminosa nascosti nelle profondità del terreno, come descritto in questo schema ([3]):
L’utilizzo di tale procedimento costituisce uno dei motivi della discesa delle quotazioni del gas naturale, in particolare negli USA. Risultano ricchi detentori di questa tipologia di gas, come mostrato nelle aree evidenziate, in rosso, in questa mappa ([4]):
L’aspetto più interessante (e sconvolgente a livello di opinione pubblica) è che, in base ai dati riportati dall’Agenzia statistica EIA del Dipartimento dell’Energia statunitense ([4]),la Cina è il Paese che detiene maggiori riserve di shale gas da estrarre… seguita dagli USA!
Adesso capite perché gli USA stanno convertendo la loro economia verso un sempre maggiore utilizzo di gas naturale.
I vantaggi derivanti dalla maggiore indipendenza energetica sono molteplici:
1. miglioramento del deficit commerciale, grazie alle minori importazioni di petrolio e soprattutto gas naturale;
2. maggiore sicurezza nazionale, visto la minore dipendenza dal petrolio del Medio Oriente (in particolare la percentuale di importazioni di greggio da tale area è calata dal 23% del 1999 al 15% del 2010);
3. indifferenza verso azioni di embargo da parte dei produttori di greggio (molti americani ancora si ricordano la crisi petrolifera del 1973, quando l’allora presidente Nixon annunciò, per tale motivo, di non accendere le luci dell’albero di Natale nazionale!);
4. esportazione di prodotti petroliferi raffinati: per la prima volta dal 1949;
5. trasformazione nel più grande produttore mondiale di energia, superando anchela Russia nel giro di otto anni;
6. creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro, grazie all’espansione delle aziende che investono nel settore (in particolare lo shale gas). Qualcuno stima che possano superare anche il milione;
7. miglioramento delle casse statali, grazie ad una maggiore tassazione a livello di imposte sulle risorse naturali estratte;
8. maggiore importanza a livello geopolitico: pensate solo alle sanzioni comminate all’Iran… oppure alla conseguente minore influenza diplomatica (a causa del potere derivanti dalla disponibilità di fonti energetiche) della Russia o dello stesso Iran.
Ovviamente ci sono anche vari aspetti negativi:
1. maggiore impatto ambientale, visto che pare che la tecnica adottata per l’estrazione dello shale gas mediante fratturazione della roccia iniettando acqua, sabbia e soprattutto sostanze chimiche, sia in grado di inquinare le falde acquifere;
2. minori investimenti nelle fonti energetiche alternative quali solare, eolico e nucleare, visto che diventano automaticamente meno attraenti, con ripercussioni su tali settori a livello di manodopera;
3. ritorno al facile consumo di energia da parte dell’americano medio, che negli ultimi anni si era convertito ad un comportamento più virtuoso nell’uso delle fonti energetiche (visto che veniva colpito direttamente il suo portafoglio!).
Quindi è corretto quanto riportato in tali fonti e gli USA raggiungeranno, nel giro di pochi anni, l’autosufficienza energetica?
Sul sito governativo americano Energy.gov vengono riportati i seguenti “fatti” ([6]):
A) nel 2011, la produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti ha raggiunto il suo livello più alto dal 2003, superando i 5,57 milioni di barili al giorno;
B) la produzione USA di gas naturale nel 2011 è cresciuta del 7,4%, un record assoluto inteso come aumento anno su anno (il precedente era del 1973);
C) le importazioni di petrolio (espresse come rapporto percentuale sui consumi) sono in calo: 45% nel 2011 contro il 57% del 2008. Si tratta del dato più basso dal 1995.
Ecco un grafico che descrive bene tale andamento ([7]):
1. miglioramento del deficit commerciale, grazie alle minori importazioni di petrolio e soprattutto gas naturale;
2. maggiore sicurezza nazionale, visto la minore dipendenza dal petrolio del Medio Oriente (in particolare la percentuale di importazioni di greggio da tale area è calata dal 23% del 1999 al 15% del 2010);
3. indifferenza verso azioni di embargo da parte dei produttori di greggio (molti americani ancora si ricordano la crisi petrolifera del 1973, quando l’allora presidente Nixon annunciò, per tale motivo, di non accendere le luci dell’albero di Natale nazionale!);
4. esportazione di prodotti petroliferi raffinati: per la prima volta dal 1949;
5. trasformazione nel più grande produttore mondiale di energia, superando anchela Russia nel giro di otto anni;
6. creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro, grazie all’espansione delle aziende che investono nel settore (in particolare lo shale gas). Qualcuno stima che possano superare anche il milione;
7. miglioramento delle casse statali, grazie ad una maggiore tassazione a livello di imposte sulle risorse naturali estratte;
8. maggiore importanza a livello geopolitico: pensate solo alle sanzioni comminate all’Iran… oppure alla conseguente minore influenza diplomatica (a causa del potere derivanti dalla disponibilità di fonti energetiche) della Russia o dello stesso Iran.
Ovviamente ci sono anche vari aspetti negativi:
1. maggiore impatto ambientale, visto che pare che la tecnica adottata per l’estrazione dello shale gas mediante fratturazione della roccia iniettando acqua, sabbia e soprattutto sostanze chimiche, sia in grado di inquinare le falde acquifere;
2. minori investimenti nelle fonti energetiche alternative quali solare, eolico e nucleare, visto che diventano automaticamente meno attraenti, con ripercussioni su tali settori a livello di manodopera;
3. ritorno al facile consumo di energia da parte dell’americano medio, che negli ultimi anni si era convertito ad un comportamento più virtuoso nell’uso delle fonti energetiche (visto che veniva colpito direttamente il suo portafoglio!).
Quindi è corretto quanto riportato in tali fonti e gli USA raggiungeranno, nel giro di pochi anni, l’autosufficienza energetica?
Sul sito governativo americano Energy.gov vengono riportati i seguenti “fatti” ([6]):
A) nel 2011, la produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti ha raggiunto il suo livello più alto dal 2003, superando i 5,57 milioni di barili al giorno;
B) la produzione USA di gas naturale nel 2011 è cresciuta del 7,4%, un record assoluto inteso come aumento anno su anno (il precedente era del 1973);
C) le importazioni di petrolio (espresse come rapporto percentuale sui consumi) sono in calo: 45% nel 2011 contro il 57% del 2008. Si tratta del dato più basso dal 1995.
Ecco un grafico che descrive bene tale andamento ([7]):
Quindi la risposta corretta alla domanda pare essere affermativa.
Perché confutarne l’evidenza allora?
Senza uscire con la solita affermazione che “gli USA sono in campagna elettorale“… per rispondere correttamente bisogna partire dal picco del petrolio USA, cioè quando la produzione (estrazione) di petrolio giornaliera raggiunge il massimo per poi scendere, con un declino continuo.
Il noto geofisico americano, Marion King Hubbert, grazie alla sua ventennale esperienza alla Shell, ha costruito una teoria matematica per determinare il picco del petrolio, ideando una curva statistica simile ad una gaussiana, che prese il suo nome: curva di Hubbert.
Nel 1956 applicò tale teoria alla produzione petrolifera statunitense, prevedendo che gli USA avrebbero raggiunto il picco di produzione petrolifera agli inizi degli anni settanta.
Osservate in questo grafico l’accuratezza della previsione ([5]):
Poi bisogna considerare come tali “fatti” si collocano in un contesto di lungo periodo, grazie ai dati forniti dalla stessa Agenzia statistica governativa EIA nell’ultimo rapporto annuale ([8]).
Esaminiamoli in dettaglio.
Fatto A. In questo grafico di lungo periodo ([8a]) provate ad immaginare come il dato di 5,57 milioni di barili al giorno del 2011, influenzi la produzione di petrolio (linea rossa), dopo i 5,51 del 2010…
Fatto B. Un grafico ([8b]) simile al precedente vi dimostra come tale incremento del gas naturale si vada a collocare in un trend di lungo periodo (linea rossa tratteggiata):
Preciso per correttezza che questo grafico non tiene conto dello shale gas, visto che si tratta di una produzione recente.
Dai dati che ho ricavato dalla stessa IEA ([9]), l’incidenza sul totale della produzione non è ancora molto rilevante: 3,1 migliaia di miliardi di piedi cubici (trillion cubic feet) nel 2009.
Quindi immaginate, a partire dal 2007, di vedere la linea rossa più ripida, fino a raggiungere e oltrepassare leggermente il livello dei consumi.
Fatto C. Occorre sottolineare che la fonte governativa citava le percentuali riportate sul grafico, che mostrava il declino della dipendenza energetica, “rapportate ai consumi”.
Il motivo è evidente in questo grafico ([8a]):
Siamo di fronte ad un trend di consumi in costante aumento negli ultimi decenni, calato solo pochi anni fa (soprattutto per la crisi economica e alla minore domanda industriale dovuta alla delocalizzazione).
E’ ovvio che di conseguenza siano calate anche le importazioni.
Infatti il lieve trend positivo nella produzione di gas naturale, evidenziato nel precedente grafico, è andato a sostituire, il fabbisogno di petrolio impiegato per la produzione di energia elettrica, come evidenziato, mediante una linea blu, in questo grafico ([8d]):
Notate come sia divenuta importante l’importazione dall’Iraq dalla fine della guerra.
Ricordo che nel 2010 il Canada e il Messico erano i principali fornitori di petrolio degli USA, seguiti dall’Arabia Saudita ([8e]).
In merito all’esportazione di prodotti petroliferi raffinati, è evidente dai seguenti grafici che gli USA sono diventati grossi esportatori di tali prodotti ([8f]]), non di greggio però:
Tra gli acquirenti… ci siamo anche noi italiani ([8g]): E’ vero che gli USA si stanno trasformando nel più grande produttore energetico.
Ciò però è sostanzialmente dovuto ai suoi ingenti consumi. Come evidenziato in questo grafico ([8h]… sono costretti ad aumentare la produzione… per evitare di dipendere troppo dall’estero:
Preciso che sul grafico sono riportate tutte le fonti energetiche (non solo petrolio e gas naturale).
E’ poi evidente come il divario tra produzione e consumi si sia mantenuto costante negli ultimi due decenni, sul valore massimo dal dopoguerra (quello dell’indipendenza energetica).
Infine vorrei mostrarvi questo grafico ([10]):
Riporta il confronto dei consumi tra il 1973 (anno della crisi petrolifera) e il 2009, distinto per tipologia di fonti energetiche utilizzate nel settore industriale, dei trasporti ed altri settori:
E’ interessante notare come nel settore industriale i consumi di petrolio e gas naturale si siano mantenuti pressoché costanti (visto che, come riportato in precedente grafico, una componente dell’aumento del ricorso all’elettricità proviene da un maggiore impiego nell’uso di gas naturale), mentre tale consumo sia letteralmente esploso nel settore dei trasporti.
Ecco quindi spiegato perché negli Usa si sta incentivando notevolmente l’efficienza dei trasporti (soprattutto persone e merci), inteso come consumo di prodotti raffinati petroliferi per chilometro.
Il motivo è immediatamente chiaro in questo grafico ([8i]):
Non c’è scampo: il settore dei trasporti consuma prevalentemente petrolio!
Una fonte fossile, che dal picco di produzione USA (correttamente previsto da Hubbert) scarseggerà sempre più, anche se recentemente la produzione ha temporaneamente invertito il trend di lungo periodo.
D’altronde c’è una nota azienda italiana (chissà per quanto…) che ha colto nel segno intercettando correttamente tale esigenza dell’amministrazione USA e connesso settore industriale.
Comunque è indubbio che negli ultimi anni siano stati fatti importanti passi avanti, visto che l’efficienza degli autoveicoli è aumentata da una media nel 1978 di 19,9 mpg (miglia per gallone) ai 29,6 del 2011 (corrispondenti a rispettivamente 8,5 e 12,3 km/l).
In questo grafico vedete il trend di lungo periodo ([8l]):
Un recente studio afferma che il 17% del petrolio importato ed utilizzato nel settore dei trasporti statunitense potrebbe essere sostituito con biocarburante proveniente da alghe ([11]).
Non per niente l’amministrazione Obama annunciava di voler ridurre di un terzo le importazioni di petrolio entro il 2025.
Mi fermo qui.
Buona riflessione.
Fonti:
[1] Adnkronos – Gli Usa vicini all’autosufficienza energetica, cambiano gli equilibri mondiali (8 febbraio 2012).
[2] Bloomberg – Americans Gaining Energy Independence With U.S. as Top Producer (7 febbraio 2012).
[3] EIA U.S. Energy Information Administration – Schematic Geology of Natural Gas Resources (27 gennaio 2010).
[4] EIA U.S. Energy Information Administration – World Shale Gas Resources: An Initial Assessment of 14 Regions Outside the United States (5 aprile 2011).
[5] Wikipedia – US Crude Oil Production versus Hubbert Curve.
[6] Energy.gov – Increasing Energy Security (20 gennaio 2012).
[7] Energy.gov – Our Dependence on Foreign Oil Is Declining (1 marzo 2012).
[8] EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011).
[8a] – pag. 133;
[8b] – pag. 192;
[8c] – pag. 146;
[8d] – pag. 38;
[8e] – pag. 140;
[8f] – pag. 142;
[8g] – pag. 144;
[8h] – pag. 8;
[8i] – pag. 39;
[9] EIA U.S. Energy Information Administration – Shale Gas Production (30 dicembre 2010).
[10] EIA U.S. Energy Information Administration – Breakdown of sectoral final consumption by source.
[11] Energy.gov – Study: Algae Could Replace 17% of U.S. Oil Imports (1 marzo 2012).
source articolo : http://intermarketandmore.finanza.com/energia-usa-verso-l-indipendenza-43507.html
Ecco quindi spiegato perché negli Usa si sta incentivando notevolmente l’efficienza dei trasporti (soprattutto persone e merci), inteso come consumo di prodotti raffinati petroliferi per chilometro.
Il motivo è immediatamente chiaro in questo grafico ([8i]):
Non c’è scampo: il settore dei trasporti consuma prevalentemente petrolio!
Una fonte fossile, che dal picco di produzione USA (correttamente previsto da Hubbert) scarseggerà sempre più, anche se recentemente la produzione ha temporaneamente invertito il trend di lungo periodo.
D’altronde c’è una nota azienda italiana (chissà per quanto…) che ha colto nel segno intercettando correttamente tale esigenza dell’amministrazione USA e connesso settore industriale.
Comunque è indubbio che negli ultimi anni siano stati fatti importanti passi avanti, visto che l’efficienza degli autoveicoli è aumentata da una media nel 1978 di 19,9 mpg (miglia per gallone) ai 29,6 del 2011 (corrispondenti a rispettivamente 8,5 e 12,3 km/l).
In questo grafico vedete il trend di lungo periodo ([8l]):
Un recente studio afferma che il 17% del petrolio importato ed utilizzato nel settore dei trasporti statunitense potrebbe essere sostituito con biocarburante proveniente da alghe ([11]).
Non per niente l’amministrazione Obama annunciava di voler ridurre di un terzo le importazioni di petrolio entro il 2025.
Mi fermo qui.
Buona riflessione.
Fonti:
[1] Adnkronos – Gli Usa vicini all’autosufficienza energetica, cambiano gli equilibri mondiali (8 febbraio 2012).
[2] Bloomberg – Americans Gaining Energy Independence With U.S. as Top Producer (7 febbraio 2012).
[3] EIA U.S. Energy Information Administration – Schematic Geology of Natural Gas Resources (27 gennaio 2010).
[4] EIA U.S. Energy Information Administration – World Shale Gas Resources: An Initial Assessment of 14 Regions Outside the United States (5 aprile 2011).
[5] Wikipedia – US Crude Oil Production versus Hubbert Curve.
[6] Energy.gov – Increasing Energy Security (20 gennaio 2012).
[7] Energy.gov – Our Dependence on Foreign Oil Is Declining (1 marzo 2012).
[8] EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011).
[8a] – pag. 133;
[8b] – pag. 192;
[8c] – pag. 146;
[8d] – pag. 38;
[8e] – pag. 140;
[8f] – pag. 142;
[8g] – pag. 144;
[8h] – pag. 8;
[8i] – pag. 39;
[9] EIA U.S. Energy Information Administration – Shale Gas Production (30 dicembre 2010).
[10] EIA U.S. Energy Information Administration – Breakdown of sectoral final consumption by source.
[11] Energy.gov – Study: Algae Could Replace 17% of U.S. Oil Imports (1 marzo 2012).
source articolo : http://intermarketandmore.finanza.com/energia-usa-verso-l-indipendenza-43507.html
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