Atene a un passo dal ritorno alla dracma. Se prima delle elezioni le probabilità che la Grecia uscisse dall'Eurozona entro 18 mesi erano al 50% adesso, dopo il voto del 6 maggio (che ha decretato un Parlamento frammentato con una forte presenza di partiti estremisti e anti-europeisti) salgono al 75%. È il pensiero di due economisti di Citigroup, Jurgen Michels e Guillaume Menuet.
Ma ci sono anche altri indizi. Secondo Dante Buonsanto, sales di Cmc Markets «la Grecia potrebbe uscire dall'euro ed è una ipotesi paventata qualche settimana fa addirittura dalla Bei, la Banca europea per gli Investimenti delegata a offrire prestiti a tasso agevolato alle aziende dei Paesi membri per il rilancio dello sviluppo e delle infrastrutture. Infatti, in un contratto stipulato tra la Bei e la Deh, la più grande società elettrica greca è stata inserita una clausola che prevede la rinegoziazione del rimborso nel caso in cui si ritornasse alla Dracma o della fine dell'unione monetaria europea. La tempistica di una eventuale uscita della Grecia, per, è di difficile individuazione anche se certamente il voto di protesta avutosi in questo weekend potrebbe accelerarne il processo».
Non c'è tempo da perdere. Già a giugno i commissari della Troika (Bce-Ue-Fmi) che ha elargito a marzo il secondo salvataggio da 130 miliardi di euro attendono risposte da Atene su come riuscirà a risparmiare 11,6 miliardi tra il 2013 e il 2014. Condizione necessaria perché l'impianto degli aiuti (prestiti a tassi agevolati) resti saldo.
Ipotesi che non esclude un nuovo piano di austerity. Sulla cui approvazione però, questa volta, si prevede dura lotta tra le forze politiche. Proprio perché il risultato delle urne ha decretato la bocciatura del piano di austerità sostenuto finora dai due principali partiti del Paese. Nelle prossime ore la Grecia dovrà cercare di uscire dall'impasse politica avviando le consultazioni per dare vita a un governo di coalizione, sotto lo sguardo inquieto dei mercati.
Il Presidente Carolos Papoulias convocherà oggi Antonis Samaras, leader dei conservatori di Nea Demokratia, per conferirgli un mandato esplorativo" con l'obiettivo di dare vita a un governo di coalizione. Nea Demokratia si è affermato come primo partito al voto di ieri con il 18,8% dei voti, pari a 108 seggi, contro il 33,5% del 2009; anche i socialisti del Pasok, con cui hanno governato dalla fine del 2011, sono crollati ieri ai seggi, ottenendo il 13,2% dei consensi, pari a 41 seggi, contro il 43,9% del 2009.
I due partiti non riescono quindi a raggiungere i 151 seggi della maggioranza assoluta e dovranno cercare di ottenere il sostegno di un terzo partito per poter portare avanti il piano di salvataggio concordato con l'Unione europea (Ue) e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma il terzo partito dovrà essere scelto tra le cinque formazioni entrate in Parlamento, tre di sinistra e due di destra, che insieme detengono di fatto la maggioranza aritmetica, 151 seggi, e che si oppongono al piano di rigore voluto dai creditori internazionali.
Secondo la stampa, se non si riuscirà a formare un governo dopo gli eventuali incarichi in successione ai tre leader dei principali partiti usciti dalle elezioni di ieri, allora la Grecia tornerà alle urne entro giugno. E ingovernabilità è termine ricorrente nei titoli dei quotidiani greci.
In questo sfondo i rendimenti dei titoli a 10 anni sono balzati oltre il 20% mentre la Borsa di Atene cede l'8% con punte fino al 10%, zavorratta dal settore bancario che cede il 19%.
Nonostante tutto la Commissione Ue si dice «fiduciosa nel futuro della Grecia all'interno dell'Eurozona», attraverso il portavoce Pia Ahrenkilde Hansen precisando che «la Commissione spera e si aspetta che il futuro governo greco rispetterà gli impegni presi dalla Grecia» nel quadro dei programmi di aggiustamento dei conti pubblici stabiliti assieme ai partner europei.
Un'eventuale uscita della Grecia dall'euro comporterebbe quella che gli economisti chiamano svalutazione competitiva della moneta locale. In questo caso la dracma. Sarebbe vantaggiosa? I benefici di una svalutazione competitiva (moneta più debole e rilancio conseguenziale delle esportazioni) potrebbero però essere vanificati dagli svantaggi di un'uscita dall'euro: alta inflazione, alti tassi di interessi (con aumento dei costi per sostenere il debito pubblico) aumento del costo dei beni importati e ddi quelli prodotti in loco che incorporano materie prime importate.Insomma, i costi di un'uscita della Grecia dall'euro potrebbero essere pesantissimi per Atene. Così come, allo stesso tempo, pesantissime sono le misure di austerity a cui è costretta per ricevere gli aiuti europei del piano di salvataggio.
Grecia sì o Grecia no, l'euro non corre rischi secondo i due economisti di Citigroup che giudicano «molto bassa la probabilità di una frammentazione dell'Unione monetaria».
Secondo Cmc markets «l'uscita della Grecia potrebbe generare una ulteriore incertezza sul futuro dell'euro con effetto domino per quei Paesi che sono già sottopressione come Spagna, Portogallo, Ungheria ed infine Italia. La conseguenza per il nostro Paese sarebbe quella di un aumento dello spread Bund/Btp fino a quando non ci saranno piccoli spiragli di ripresa».
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