giovedì 22 marzo 2012

Lettera aperta al Presidente Monti


Egregio Presidente Monti,
prima di iniziare questa breve riflessione vorrei, preliminarmente, rappresentarLe tutto il mio apprezzamento per il coraggio(?????????????) da Lei espresso nel farsi carico delle grandi responsabilità derivanti dal Suo ruolo che, come dovrebbe essere a tutti noto, è reso ancor più difficile dalla precarietà in cui versa lo Stato Italiano dopo decenni di vero abbandono, da parte di quei politicanti che hanno contribuito alla rapina collettiva, perpetrata a danno del futuro degli italiani.

Benché io comprenda, in toto, tutte le difficoltà che sta riscontrando nel condurre la Sua missione, non posso in alcun modo esimermi dal rappresentarLe tutto il mio stupore per alcuni Suoi provvedimenti, dei quali, pur pensando e ripensando, a dire il vero, mi sfugge la coerenza con taluni principi cardine, ispiratori della Sua azione di Governo: rigore, crescita, equità.

Certo che la situazione che si è trovato davanti, al suo ingresso a palazzo Chigi, non lasciava altra strada (????????????????)se non quella di imprimere, o per meglio dire imporre, soluzioni di rigore. Ciò anche al fine - immagino - di segnare una netta discontinuità con il Governo passato. Questo è già sicuramente visibile. E altrettanto percepibile sarà nelle tasche degli italiani, già da questo anno e negli successivi, quando avranno effetto, in maniera simultanea, sia le manovre estive precedenti, che la Sua, varata lo scorso dicembre. Ma a sollevarLa dalla responsabilità del feroce perseguimento di politiche di rigore è intervenuto, ad aiutarLa, anche il (l'inutile) Fiscal Compact, a mio avviso, non del tutto strumentale alla soluzione della crisi del debito, tenuto conto che, il patto, si basa sui principi postulati dall'ortodossia tedesca, per nulla importabili e applicabili dai Paesi che, per sua natura, peculiarità e caratteristiche, non godono di un tessuto economico e sociale come quello germanico, idoneo ad assorbire il rigore imposto del patto, anche nei periodi di bassa crescita, o peggio, di contrazione economica prolungata, come nel caso attuale.

Il caso Grecia, in tal senso, fa scuola. Analogo discorso può osservarsi anche per quel che concerne la costituzionalizzazione del principio del pareggio di bilancio postulata dal Suo predecessore al Ministero dell'economia ed ora, non per nulla, chiamato il Timoniere del Titanic. Al riguardo, ritengo che il c.d. principio del pareggio di bilancio, sia già scritto nello spirito delle norme costituzionali, ed insito, naturalmente, nella diligenza e nella responsabilità di ogni governante poiché, a parer mio, questo obiettivo, dovrebbe essere conseguenza naturale di ogni buona azione di governo. Ma anche questo aspetto, è sicuramente indice del livello della nostra classe dirigente che, ammesso che ci si riesca, ha bisogno di norme di rango costituzionale per "incarnargli " quei principi naturali di buon governo che dovrebbero geneticamente appartenere ad ogni buon governante. Ma ritornando al nostro discorso, sicuramente la rigidità e l'ampiezza delle Sua manovra che, come da Lei anticipato, imporrà agli italiani grandi sacrifici, unita al suo spessore politico, professionale ed umano, Le (ci) ha consentito di sedere con più peso e con maggior credibilità nelle tavole rotonde europee, dove si consumano, con inaudita frequenza ed altrettanta inutilità, inconcludenti summit che, come si è visto, sono finiti per determinare il fallimento delle Grecia.

Lei sa benissimo che questa credibilità, solo apparentemente riconquistata, è pronta a vacillare alla prossima tornata di boa, quando qualcuno si accorgerà che nulla è stato fatto di credibile e risolutorio per arginare la crisi del debito. Ritornando al Suo rigore, è proprio su questo che vorrei soffermarmi e chiederLe se magari non fosse stato il caso di andarci un pò più cauti nell'usare la leva impositiva per far quadrare i conti, tenuto in debito conto, il grande sacrificio già richiesto precedentemente agli italiani. Come Lei sicuramente saprà, dall'alto della Sua carriera accademica e della Sua ineffabile carriera professionale e come peraltro il caso Grecia (ma non solo) ci ha insegnato, continue politiche di austerità non fanno altro che comprimere il reddito spendibile di famiglie ed imprese, determinando continue contrazioni dei consumi e quindi cadute del PIL, riproponendo così la necessità di varare nuove manovre rischiando di favorire un circolo vizioso, che contrasta con il circolo virtuoso di cui l'economia italiana ha bisogno imprescindibile.

Non solo. Viste le costanti rivisitazioni al ribasso della congiuntura economica a cui siamo stati abituati e considerata l'impossibilità cronica di esprimere valori di crescita del PIL in sintonia con l'ampiezza del nostro debito, occorrerebbe farsi un bel bagno di ottimismo per sostenere che non sarà necessario approntare nuove manovre. Il tutto, ovviamente, considerando anche il deteriorarsi del quadro economico internazionale che non appare dei più confortanti. Accertata comunque l'impossibilità dei agire sulla spesa pubblica improduttiva,(?????????) poiché avrebbe presupposto dei tempi non conciliabili con la gravità della situazione che Lei si è trovato a governare, mi chiedo se non fosse stato davvero più equo ed economicamente utile, ipotizzare l'applicazione di una imposta patrimoniale sui grandi patrimoni, al fine di abbattere di qualche centinaio di miliardi di euro lo stock del debito pubblico, o magari usare un po' più fantasia nel perseguimento di criteri di rigore,equità e crescita.

Tale soluzione trova anche il sostegno di una diffusa platea di eminenti economisti che avrebbero auspicato una soluzione di questo tipo e sicuramente, a quei tempi, sarebbe potuta esser fatta su una base imponibile maggiore, visto il flusso di denaro che ogni giorno varca il confine italo-svizzero.Oppure, considerando il venir meno del patto fiscale con i contribuenti che hanno aderito allo scudo fiscale, perchè non pretendere, da questi, un contributo maggiore avvicinando così il prelievo a quello degli altri Paesi (oltre il 30%) che hanno adottato misure analoghe?

Magari, il plus ottenuto, sarebbe potuto essere utilizzato per varare misure di sviluppo. Tuttavia, ora che un po' tutte le testate giornalistiche hanno parlato della Sua manovra per oltre due mesi, spendendo fiumi di inchiostro, io e Lei possiamo tranquillamente confidarci che la Sua, non è affatto una manovra differente da quelle pensate dai suoi predecessori e che , con imbarazzante ritualità, hanno colpito i soliti noti: la classe disagiata e quella media del paese. E certo perchè, se con balzelli fiscali, Lei mi aumenta sempre le accise sui carburanti o altri beni di largo consumo, è evidente che l'erario potrà contare su una base imponibile ampia poiché caratterizzata dalla necessità che ha la massa di ricorrere comunque all'acquisto di taluni beni, oggetto dell'inasprimento fiscale. Ma è altrettanto vero che si finisce sempre per bussare alle casse dei soliti noti, già peraltro monotone, tanto per usare un espressione a Lei cara.

Così, a titolo di esempio non esaustivo - e qui veniamo all'equità - il carburante consumato da un pensionato per recarsi a fare una visita medica, mi sembra giusto che costi lo stesso prezzo del carburante utilizzato dal manager pubblico - che guadagna milioni di euro - per recarsi al suo posto di lavoro, e che talvolta, come tutti sappiamo, si traduce in un luogo ove vengono curati interessi personali e non della collettività. Per carità Presidente Monti, non vorrei sembrarLe populista con i miei ragionamenti e comprendo benissimo che il sentiero entro il quale si è mosso, era fin troppo stretto per permettersi soluzioni di meno impatto sui soliti noti. Tanto è vero che Le riconosco comunque il merito di aver varato una riforma delle pensioni epocale. Ma anche in questo caso, sarà pure un mio limite, mi sfugge qualcosa: se si allunga l'età di pensionamento delle persone che stanno in servizio, come si fa a liberare dei posti da assegnare ai giovani disoccupati che hanno raggiunto, anche in questo caso, livelli allarmanti? Certo, per Lei sarà senz'altro semplice rispondermi. Immagino che mi dirà che le sacche di disoccupazione giovanile, dovranno essere riassorbite avviando un percorso vigoroso di crescita economica, tale da creare occupazione. Ma anche in questo caso, - e qui veniamo alla crescita - a me pare che su questo fronte non sia stato fatto granché.

In realtà, le timide liberalizzazioni, peraltro pesantemente emendate in sede di conversione del decreto, non sembrano essere le grandi liberalizzazioni di cui l'Italia ha bisogno e che, almeno nella fantasia collettiva, un pò tutti si aspettavano. Queste appaiono deboli, non coraggiose, prive di vere logiche liberalizzatrici e soprattutto non del tutto contrapposte a quegli interessi corporativi da Lei stesso più volte denunciati. Per non parlare poi dei presunti stimoli introdotti dal Suo governo per favorire l'iniziativa imprenditoriale. Mi riferisco - Lei lo sa benissimo - alla nuova società a responsabilità limitata, con capitale sociale di 1 euro e destinata agli under 35. A tal proposito, tanto per chiarirsi un po' le idee, credo valga la pena offrirLe un mio modesto ragionamento. In primis, se un aspirante imprenditore, non ha la disponibilità di 2500,00 euro per costituire una società a responsabilità limitata, forse è meglio suggerirgli, sempre per il suo bene, di cambiare aspirazione e dirottare i sui interessi lavorativi e professionali alla ricerca di rapporti di lavoro subordinato, sempre ammesso che ci sia una richiesta di occupazione che comunque non c'è.

E poi, rimane sempre il fatto che l'età avanza, e anche i giovani imprenditori che hanno dato vita a questa nuova forma societaria, prima o poi, ce lo auguriamo, dovranno arrivare al compimento dei 35 anni e diverranno, da un giorno all'altro, vecchi per l'impresa da loro creata. In tal senso appaiono quantomeno singolari le soluzioni proposte dal decreto: essere esclusi dalla società (creata da se stessi), oppure trasformare la società in una società di persone o anche in una Srl ordinaria. Soluzioni che, sempre a parer di chi scrive, rispecchiano tutta la confusione esistente in questa Italia, incapace di ricercare ed esprimere soluzioni semplici ed organiche, neanche di fronte alla semplicità di spicciole problematiche. Mi chiedo - e per carità non lo prenda come un suggerimento; non mi permetterei mai- se non fosse stato più incentivante, per gli aspiranti imprenditori, eliminare l'obbligo del versamento degli acconti di imposta per i primi anni (vera spada di Damocle già dal secondo anno di attività); oppure, prevedere un'aliquota fiscale più agevolata e perché no, anche la certezza delle disciplina fiscale o addirittura favorire politiche di venture capital . Soluzioni queste, a parer mio, più incentivanti della nuova SRL. Ma so che sarebbe stato chiedere troppo e quindi ci accontentiamo anche della società con il capitale sociale di 1 euro. Anche se, mi pare di aver sentito da qualche parte, forse in un'altra vita, che uno dei problemi delle imprese italiane fosse la sottocapitalizzazione. Ma probabilmente , lo avrò sognato di notte, dopo aver fatto qualche stravizio a cena.

Detto ciò, caro Presidente Monti, con infinito rispetto, mi permetto di congedarLa dall'ulteriore lettura dei miei pensieri, che in fin dei conti rappresentano ben poca cosa, con l'augurio che il tempo acquistato dalla BCE, con le due operazioni di finanziamento a favore delle Banche, massima espressione del Suo concetto di equità, Le sia utile ad intervenire con più decisione, rigore e fantasia, sulle questioni note ormai a tutti e che sono all'origine del nostro disastro e delle generazioni future. In ultimo, concludo, nel confermarLe tutto il mio apprezzamento per l'impegno da Lei profuso, comprendendo benissimo che l'unica vera alternativa alla Sua persona e al Suo Governo, è il Fondo Monetario Internazionale. L'anno vecchio è finito ormai, ma qualcosa ancora qui non va. Buon lavoro.

Di Paolo Cardenà

Evoluzione mercato Energy USA



Qualche settimana fa mi capitato di leggere una news dell’Adnkronos ([1]) dal titolo:


Gli Usa vicini all’autosufficienza energetica, cambiano gli equilibri mondiali.


Cito testualmente:


“Entro dieci anni esporteranno gas e petrolio e non dovranno dipendere più dall’import di paesi politicamente instabili.

Mai come ora negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti sono vicini a raggiungere l’autosufficienza energetica… le risorse energetiche interne di Washington sono ora in grado di soddisfare l’81% della domanda di energia”


Ricorda poi che per gli USA l’ultimo anno di autosufficienza energetica è stato il lontano 1952.


Grazie alla ormai nota curiosità che mi attanaglia ( ), scopro che in realtà la fonte originale è un articolo di Bloomberg ([2]) del giorno prima, dal titolo:

Americans Gaining Energy Independence With U.S. as Top Producer


Riassumo in corsivo il contenuto.


Sono due decenni che gli Usa hanno un trend negativo nella loro indipendenza energetica.


Improvvisamente nei primi 10 mesi del 2011, l’81% del fabbisogno energetico interno di energia è stato coperto con fonti di provenienza nazionale, invertendo bruscamente tale trend.

In base ai dati estrapolati dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, tale percentuale sarebbe la più alta dal 1992.


In particolare l’estrazione di petrolio greggio, di provenienza nazionale è aumentata significativamente negli ultimi anni, raggiungendo il livello più alto dal 2003, ovvero 5,7 milioni di barili al giorno.


Lo stesso è avvenuto per il gas naturale, grazie anche all’espansione del settore delloshale gas, estratto con procedimenti di fratturazione degli strati di roccia bituminosa nascosti nelle profondità del terreno, come descritto in questo schema ([3]):


L’utilizzo di tale procedimento costituisce uno dei motivi della discesa delle quotazioni del gas naturale, in particolare negli USA. Risultano ricchi detentori di questa tipologia di gas, come mostrato nelle aree evidenziate, in rosso, in questa mappa ([4]):



L’aspetto più interessante (e sconvolgente a livello di opinione pubblica) è che, in base ai dati riportati dall’Agenzia statistica EIA del Dipartimento dell’Energia statunitense ([4]),la Cina è il Paese che detiene maggiori riserve di shale gas da estrarre… seguita dagli USA!

Adesso capite perché gli USA stanno convertendo la loro economia verso un sempre maggiore utilizzo di gas naturale.
I vantaggi derivanti dalla maggiore indipendenza energetica sono molteplici:

1. miglioramento del deficit commerciale, grazie alle minori importazioni di petrolio e soprattutto gas naturale;

2. maggiore sicurezza nazionale, visto la minore dipendenza dal petrolio del Medio Oriente (in particolare la percentuale di importazioni di greggio da tale area è calata dal 23% del 1999 al 15% del 2010);

3. indifferenza verso azioni di embargo da parte dei produttori di greggio (molti americani ancora si ricordano la crisi petrolifera del 1973, quando l’allora presidente Nixon annunciò, per tale motivo, di non accendere le luci dell’albero di Natale nazionale!);

4. esportazione di prodotti petroliferi raffinati: per la prima volta dal 1949;

5. trasformazione nel più grande produttore mondiale di energia, superando anchela Russia nel giro di otto anni;

6. creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro, grazie all’espansione delle aziende che investono nel settore (in particolare lo shale gas). Qualcuno stima che possano superare anche il milione;

7. miglioramento delle casse statali, grazie ad una maggiore tassazione a livello di imposte sulle risorse naturali estratte;

8. maggiore importanza a livello geopolitico: pensate solo alle sanzioni comminate all’Iran… oppure alla conseguente minore influenza diplomatica (a causa del potere derivanti dalla disponibilità di fonti energetiche) della Russia o dello stesso Iran.

Ovviamente ci sono anche vari aspetti negativi:

1. maggiore impatto ambientale, visto che pare che la tecnica adottata per l’estrazione dello shale gas mediante fratturazione della roccia iniettando acqua, sabbia e soprattutto sostanze chimiche, sia in grado di inquinare le falde acquifere;

2. minori investimenti nelle fonti energetiche alternative quali solare, eolico e nucleare, visto che diventano automaticamente meno attraenti, con ripercussioni su tali settori a livello di manodopera;

3. ritorno al facile consumo di energia da parte dell’americano medio, che negli ultimi anni si era convertito ad un comportamento più virtuoso nell’uso delle fonti energetiche (visto che veniva colpito direttamente il suo portafoglio!).

Quindi è corretto quanto riportato in tali fonti e gli USA raggiungeranno, nel giro di pochi anni, l’autosufficienza energetica?

Sul sito governativo americano Energy.gov vengono riportati i seguenti “fatti” ([6]):

A) nel 2011, la produzione di petrolio greggio degli Stati Uniti ha raggiunto il suo livello più alto dal 2003, superando i 5,57 milioni di barili al giorno;

B) la produzione USA di gas naturale nel 2011 è cresciuta del 7,4%, un record assoluto inteso come aumento anno su anno (il precedente era del 1973);

C) le importazioni di petrolio (espresse come rapporto percentuale sui consumi) sono in calo: 45% nel 2011 contro il 57% del 2008. Si tratta del dato più basso dal 1995.

Ecco un grafico che descrive bene tale andamento ([7]):


Quindi la risposta corretta alla domanda pare essere affermativa.

Perché confutarne l’evidenza allora?

Senza uscire con la solita affermazione che “gli USA sono in campagna elettorale“… per rispondere correttamente bisogna partire dal picco del petrolio USA, cioè quando la produzione (estrazione) di petrolio giornaliera raggiunge il massimo per poi scendere, con un declino continuo.

Il noto geofisico americano, Marion King Hubbert, grazie alla sua ventennale esperienza alla Shell, ha costruito una teoria matematica per determinare il picco del petrolio, ideando una curva statistica simile ad una gaussiana, che prese il suo nome: curva di Hubbert.

Nel 1956 applicò tale teoria alla produzione petrolifera statunitense, prevedendo che gli USA avrebbero raggiunto il picco di produzione petrolifera agli inizi degli anni settanta.

Osservate in questo grafico l’accuratezza della previsione ([5]):
Per chi volesse approfondire, in questo video del 1976 lo stesso Hubbert spiega la sua teoria
Poi bisogna considerare come tali “fatti” si collocano in un contesto di lungo periodo, grazie ai dati forniti dalla stessa Agenzia statistica governativa EIA nell’ultimo rapporto annuale ([8]).

Esaminiamoli in dettaglio.
Fatto A. In questo grafico di lungo periodo ([8a]) provate ad immaginare come il dato di 5,57 milioni di barili al giorno del 2011, influenzi la produzione di petrolio (linea rossa), dopo i 5,51 del 2010…

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 133
Fatto B. Un grafico ([8b]) simile al precedente vi dimostra come tale incremento del gas naturale si vada a collocare in un trend di lungo periodo (linea rossa tratteggiata):

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 192
Preciso per correttezza che questo grafico non tiene conto dello shale gas, visto che si tratta di una produzione recente.

Dai dati che ho ricavato dalla stessa IEA ([9]), l’incidenza sul totale della produzione non è ancora molto rilevante: 3,1 migliaia di miliardi di piedi cubici (trillion cubic feet) nel 2009.

Quindi immaginate, a partire dal 2007, di vedere la linea rossa più ripida, fino a raggiungere e oltrepassare leggermente il livello dei consumi.

Fatto C. Occorre sottolineare che la fonte governativa citava le percentuali riportate sul grafico, che mostrava il declino della dipendenza energetica, “rapportate ai consumi”.

Il motivo è evidente in questo grafico ([8a]):

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 132
Siamo di fronte ad un trend di consumi in costante aumento negli ultimi decenni, calato solo pochi anni fa (soprattutto per la crisi economica e alla minore domanda industriale dovuta alla delocalizzazione).

E’ ovvio che di conseguenza siano calate anche le importazioni.

Infatti il lieve trend positivo nella produzione di gas naturale, evidenziato nel precedente grafico, è andato a sostituire, il fabbisogno di petrolio impiegato per la produzione di energia elettrica, come evidenziato, mediante una linea blu, in questo grafico ([8d]):
Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 38

Mi astengo dal commentare il massiccio ricorso al carbone per la produzione di energia elettrica.

Poi se vogliamo proprio essere pignoli e andare a vedere il grafico di lungo periodo ([8c])… da dove sono stati estrapolati i dati per ricostruire l’istogramma a supporto del “fatto” C:

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 146
notiamo subito che sono stati riportati solo i dati degli ultimi 7 anni. Guarda caso, proprio a partire dal picco massimo del 2005! Che coincidenza.

Come notate il trend di lungo periodo era tutt’altro che calante!

Spero di avervi fatto comprendere che per la corretta interpretazione di semplici dati economici, come quelli evidenziati nei “fatti” suindicati, bisogna avere sempre una certa flessibilità interpretativa, avendo possibilmente l’accortezza di collocarli in un contesto di più lungo periodo.

Un contesto breve può portare a delle conclusioni che possono sviare dalla comprensione di quale sia la reale situazione, almeno sul lungo periodo.

E’ evidente che qualsiasi amministrazione, come quella americana, alle prese con continue elezioni ogni tot anni, sia importante focalizzare l’attenzione sui risultati di breve periodo, anche se poi si adottano, di fatto, delle scelte politiche di più lungo respiro.

Adesso ritorniamo su alcuni dei vantaggi, riportati nella sintesi dell’articolo di Bloomberg che avevo fatto all’inizio del post.
In merito all’aspetto della maggiore sicurezza nazionale, vista la minore dipendenza dal petrolio del Medio Oriente, vorrei mostrarvi questo grafico sulle importazioni da alcuni Paesi dell’OPEC ([8e]):


Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 140
Notate come sia divenuta importante l’importazione dall’Iraq dalla fine della guerra.

Ricordo che nel 2010 il Canada e il Messico erano i principali fornitori di petrolio degli USA, seguiti dall’Arabia Saudita ([8e]).

In merito all’esportazione di prodotti petroliferi raffinati, è evidente dai seguenti grafici che gli USA sono diventati grossi esportatori di tali prodotti ([8f]]), non di greggio però:

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 142
Tra gli acquirenti… ci siamo anche noi italiani ([8g]):

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 144
E’ vero che gli USA si stanno trasformando nel più grande produttore energetico.

Ciò però è sostanzialmente dovuto ai suoi ingenti consumi. Come evidenziato in questo grafico ([8h]… sono costretti ad aumentare la produzione… per evitare di dipendere troppo dall’estero:

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 8
Preciso che sul grafico sono riportate tutte le fonti energetiche (non solo petrolio e gas naturale).

E’ poi evidente come il divario tra produzione e consumi si sia mantenuto costante negli ultimi due decenni, sul valore massimo dal dopoguerra (quello dell’indipendenza energetica).

Infine vorrei mostrarvi questo grafico ([10]):
Riporta il confronto dei consumi tra il 1973 (anno della crisi petrolifera) e il 2009, distinto per tipologia di fonti energetiche utilizzate nel settore industriale, dei trasporti ed altri settori:

E’ interessante notare come nel settore industriale i consumi di petrolio e gas naturale si siano mantenuti pressoché costanti (visto che, come riportato in precedente grafico, una componente dell’aumento del ricorso all’elettricità proviene da un maggiore impiego nell’uso di gas naturale), mentre tale consumo sia letteralmente esploso nel settore dei trasporti.

Ecco quindi spiegato perché negli Usa si sta incentivando notevolmente l’efficienza dei trasporti (soprattutto persone e merci), inteso come consumo di prodotti raffinati petroliferi per chilometro.

Il motivo è immediatamente chiaro in questo grafico ([8i]):

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 39
Non c’è scampo: il settore dei trasporti consuma prevalentemente petrolio!
Una fonte fossile, che dal picco di produzione USA (correttamente previsto da Hubbert) scarseggerà sempre più, anche se recentemente la produzione ha temporaneamente invertito il trend di lungo periodo.

D’altronde c’è una nota azienda italiana (chissà per quanto…) che ha colto nel segno intercettando correttamente tale esigenza dell’amministrazione USA e connesso settore industriale.

Comunque è indubbio che negli ultimi anni siano stati fatti importanti passi avanti, visto che l’efficienza degli autoveicoli è aumentata da una media nel 1978 di 19,9 mpg (miglia per gallone) ai 29,6 del 2011 (corrispondenti a rispettivamente 8,5 e 12,3 km/l).
In questo grafico vedete il trend di lungo periodo ([8l]):

Fonte: EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011) - pag. 58


Un recente studio afferma che il 17% del petrolio importato ed utilizzato nel settore dei trasporti statunitense potrebbe essere sostituito con biocarburante proveniente da alghe ([11]).

Non per niente l’amministrazione Obama annunciava di voler ridurre di un terzo le importazioni di petrolio entro il 2025.

Mi fermo qui.
Buona riflessione.

Fonti:

[1] Adnkronos – Gli Usa vicini all’autosufficienza energetica, cambiano gli equilibri mondiali (8 febbraio 2012).

[2] Bloomberg – Americans Gaining Energy Independence With U.S. as Top Producer (7 febbraio 2012).

[3] EIA U.S. Energy Information Administration – Schematic Geology of Natural Gas Resources (27 gennaio 2010).

[4] EIA U.S. Energy Information Administration – World Shale Gas Resources: An Initial Assessment of 14 Regions Outside the United States (5 aprile 2011).

[5] Wikipedia – US Crude Oil Production versus Hubbert Curve.

[6] Energy.gov – Increasing Energy Security (20 gennaio 2012).

[7] Energy.gov – Our Dependence on Foreign Oil Is Declining (1 marzo 2012).







[8] EIA U.S. Energy Information Administration – Annual Energy Review 2010 (19 ottobre 2011).

[8a] – pag. 133;

[8b] – pag. 192;

[8c] – pag. 146;

[8d] – pag. 38;

[8e] – pag. 140;

[8f] – pag. 142;

[8g] – pag. 144;

[8h] – pag. 8;

[8i] – pag. 39;

[9] EIA U.S. Energy Information Administration – Shale Gas Production (30 dicembre 2010).

[10] EIA U.S. Energy Information Administration – Breakdown of sectoral final consumption by source.

[11] Energy.gov – Study: Algae Could Replace 17% of U.S. Oil Imports (1 marzo 2012).




source articolo : http://intermarketandmore.finanza.com/energia-usa-verso-l-indipendenza-43507.html

martedì 20 marzo 2012

Già prenotati 1,5 miliardi di BTP Italia

Ha superato le più rosee previsioni la domanda degli investitori per il nuovo Btp Italia, il titolo di Stato pensato dal Tesoro specificamente per le famiglie italiane, che ha però attratto l’interesse anche di parecchi investitori istituzionali.
I dati diffusi da Borsa spa nel tardo pomeriggio di ieri indicavano infatti che erano state fissate prenotazioni relative a 34.084 contratti per un controvalore di 1,56 miliardi di euro.

Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, gli ordini ricevuti sono stati davvero di tutte le dimensioni, dal taglio minimo di mille euro sino a ordinativi da addirittura 30 milioni. Dunque non solo i risparmiatori privati, ma anche gli istituzionali sono stati attratti dal Btp a 4 anni con cedola e capitale indicizzati all’inflazione italiana, con cedola minima garantita del 2,25%, che sarà quotato direttamente sul Mot di Borsa Italiana a partire da lunedì 26 marzo.

In particolare, si parla di un forte interesse di casse di previdenza e di assicurazioni, nonostante la scadenza vicina. E ieri era soltanto il primo dei quattro giorni riservati alle prenotazioni e dunque la cifra è destinata a salire in maniera significativa.

Suore: Milano Finanza