venerdì 11 maggio 2012

Facebook IPO Said to Get Weaker-Than-Forecast Demand

Facebook IPO Said to Get Weaker-Than-Forecast Demand
Facebook Inc. (FB)'s initial public offering has so far generated lower-than-expected demand from institutional investors who are concerned about the company's growth prospects, people with knowledge of the matter said.
Some investors expressed reluctance after Facebook said on May 9 that advertising growth hasn't kept pace with the increase in users, said the people, who asked not to be identified because the process is private. Facebook is also telling analysts that sales may not meet their most optimistic projections, two people said.
Facebook executives have another week to market the IPO, set to price May 17, and underwriters are stepping up efforts to drum up interest from large shareholders, one person said. The top end of the price range values the world's most popular social network at $96 billion, or more than Standard & Poor's 500 Index members including Walt Disney Co. and Visa Inc.
"It's overvalued at that price," said Filippo Garbarino, who oversees $50 million at Frontwave Capital Ltd. in Chiasso, Switzerland. "Investors are becoming more selective and there are quite a few fallen angels around, like Netflix. Those who buy Facebook at these levels are more speculators than investors."
Lackluster interest from institutional investors at this stage could compel the company to rely more on buying from retail investors, whose demand remains robust, people said. The company may still elicit enough demand to sell shares at or above the high end of a projected range, people said. Institutional investors tend to hold shares longer than retail investors, lessening a stock's volatility.
Making History
Facebook, led by Chief Executive Officer Mark Zuckerberg, plans to raise as much as $11.8 billion through the IPO, the biggest in history for an Internet company. Underscoring concerns that growth may taper, 79 percent of respondents in the Bloomberg Global Poll of 1,253 investors, analysts and traders who are Bloomberg subscribers said Menlo Park, California-based Facebook doesn't deserve the top-end valuation.
"Expectations on Facebook are way too high," said Mitsuo Shimizu, a market analyst at Tokyo-based Iwai Cosmo Securities Co. "Given its fundamentals, the company doesn't look anywhere cheap in valuation."
Slackening Growth
Facebook is offering 337.4 million shares at $28 to $35 each. The shares will be listed on the Nasdaq Stock Market under the symbol FB. Morgan Stanley (MS), JPMorgan Chase & Co. (JPM) and Goldman Sachs Group Inc. (GS) are leading the sale.
The company plans to sell 180 million shares, while existing owners such as Accel Partners, Goldman Sachs and Digital Sky Technologies are offering 157.4 million shares. Zuckerberg is offering 30.2 million of his 533.8 million shares, and may control 57.3 percent of the voting power of Facebook's capital stock outstanding after the offering, regulatory filings show.
Jonathan Thaw, a spokesman for Facebook, didn't respond to a request for comment.
Facebook, co-founded by Zuckerberg in 2004 in a Harvard University dorm room, seeks a valuation at 24 times revenue, compared with 5 times for Google Inc., according to data compiled by Bloomberg.
Already the company's growth has shown signs of slackening. Sales climbed 88 percent to $3.71 billion last year. According to researcher EMarketer Inc., revenue may increase 64 percent to $6.1 billion this year. That would be the third straight year of slowing growth.
To contact the reporters on this story: Serena Saitto in New York at ssaitto@bloomberg.net; Jeffrey McCracken in New York at jmccracken3@bloomberg.net; Zijing Wu in London at zwu17@bloomberg.net
To contact the editors responsible for this story: Tom Giles at tgiles5@bloomberg.net; Jennifer Sondag at jsondag@bloomberg.net; Jacqueline Simmons at jackiem@bloomberg.net
Find out more about Bloomberg for iPhone: http://m.bloomberg.com/iphone/

giovedì 10 maggio 2012

I petrolieri: il prezzo della benzina può scendere

«Vista la volatilità dei mercati, le condizioni per un ribasso (del prezzo della benzina, ndr) effettivamente ci sono, ma sono maturate negli ultimi giorni». Una dichiarazione così fatta dall' Unione petrolifera è difficile ricordarla a memoria d' uomo. Tanto è vero che la stessa Up poi precisa che per un effettivo calo dei prezzi serve «un consolidamento della situazione». Il costo per gli automobilisti in questi giorni è mediamente di 1,85 euro a litro per la benzina e 1,73 per il gasolio, e questo benché la crisi stia spingendo al ribasso il prezzo del greggio. Se ne è accorto il centro studi di Nomisma Energia secondo cui, alla luce dei recenti ribassi del prezzo del petrolio e dell' indicatore Platt' s, i listini dei carburanti potrebbero scendere fino a un massimo di 8 centesimi per la benzina. L' Unione petrolifera ieri ha risposto proprio a questi rilievi, sostenendo che i margini per una discesa ci sono, «anche se non dell' entità indicata da Nomisma. Le aziende, come accade anche nei movimenti al rialzo, - precisa infatti l' Up - tendono generalmente ad aspettare un consolidamento della situazione». L' annuncio di un possibile ribasso viene accolto bene dalle associazioni dei consumatori, non senza una punta di polemica: «Fa piacere che l' Up lo dica: è la prima volta che sostiene un fatto del genere. Ma dalle parole bisogna passare ai fatti: bisogna che diminuisca questo surplus di guadagno che le compagnie petrolifere hanno» sostengono Adusbef e Federconsumatori. Che calcolano in circa 18-19 milioni per la benzina e 25 milioni per il gasolio le maggiori entrate dei petrolieri per ogni centesimo in più sul prezzo dei carburanti



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martedì 8 maggio 2012

Grecia a un passo dall'addio all'euro. Per Citigroup le probabilità salgono al 75%. Rischio ingovernabilità. La Ue: futuro della Grecia all'interno dell'Eurozona

Atene a un passo dal ritorno alla dracma. Se prima delle elezioni le probabilità che la Grecia uscisse dall'Eurozona entro 18 mesi erano al 50% adesso, dopo il voto del 6 maggio (che ha decretato un Parlamento frammentato con una forte presenza di partiti estremisti e anti-europeisti) salgono al 75%. È il pensiero di due economisti di Citigroup, Jurgen Michels e Guillaume Menuet.

Ma ci sono anche altri indizi. Secondo Dante Buonsanto, sales di Cmc Markets «la Grecia potrebbe uscire dall'euro ed è una ipotesi paventata qualche settimana fa addirittura dalla Bei, la Banca europea per gli Investimenti delegata a offrire prestiti a tasso agevolato alle aziende dei Paesi membri per il rilancio dello sviluppo e delle infrastrutture. Infatti, in un contratto stipulato tra la Bei e la Deh, la più grande società elettrica greca è stata inserita una clausola che prevede la rinegoziazione del rimborso nel caso in cui si ritornasse alla Dracma o della fine dell'unione monetaria europea. La tempistica di una eventuale uscita della Grecia, per, è di difficile individuazione anche se certamente il voto di protesta avutosi in questo weekend potrebbe accelerarne il processo».

Non c'è tempo da perdere. Già a giugno i commissari della Troika (Bce-Ue-Fmi) che ha elargito a marzo il secondo salvataggio da 130 miliardi di euro attendono risposte da Atene su come riuscirà a risparmiare 11,6 miliardi tra il 2013 e il 2014. Condizione necessaria perché l'impianto degli aiuti (prestiti a tassi agevolati) resti saldo.

Ipotesi che non esclude un nuovo piano di austerity. Sulla cui approvazione però, questa volta, si prevede dura lotta tra le forze politiche. Proprio perché il risultato delle urne ha decretato la bocciatura del piano di austerità sostenuto finora dai due principali partiti del Paese. Nelle prossime ore la Grecia dovrà cercare di uscire dall'impasse politica avviando le consultazioni per dare vita a un governo di coalizione, sotto lo sguardo inquieto dei mercati.

Il Presidente Carolos Papoulias convocherà oggi Antonis Samaras, leader dei conservatori di Nea Demokratia, per conferirgli un mandato esplorativo" con l'obiettivo di dare vita a un governo di coalizione. Nea Demokratia si è affermato come primo partito al voto di ieri con il 18,8% dei voti, pari a 108 seggi, contro il 33,5% del 2009; anche i socialisti del Pasok, con cui hanno governato dalla fine del 2011, sono crollati ieri ai seggi, ottenendo il 13,2% dei consensi, pari a 41 seggi, contro il 43,9% del 2009.

I due partiti non riescono quindi a raggiungere i 151 seggi della maggioranza assoluta e dovranno cercare di ottenere il sostegno di un terzo partito per poter portare avanti il piano di salvataggio concordato con l'Unione europea (Ue) e il Fondo monetario internazionale (Fmi). Ma il terzo partito dovrà essere scelto tra le cinque formazioni entrate in Parlamento, tre di sinistra e due di destra, che insieme detengono di fatto la maggioranza aritmetica, 151 seggi, e che si oppongono al piano di rigore voluto dai creditori internazionali.

Secondo la stampa, se non si riuscirà a formare un governo dopo gli eventuali incarichi in successione ai tre leader dei principali partiti usciti dalle elezioni di ieri, allora la Grecia tornerà alle urne entro giugno. E ingovernabilità è termine ricorrente nei titoli dei quotidiani greci.

In questo sfondo i rendimenti dei titoli a 10 anni sono balzati oltre il 20% mentre la Borsa di Atene cede l'8% con punte fino al 10%, zavorratta dal settore bancario che cede il 19%.

Nonostante tutto la Commissione Ue si dice «fiduciosa nel futuro della Grecia all'interno dell'Eurozona», attraverso il portavoce Pia Ahrenkilde Hansen precisando che «la Commissione spera e si aspetta che il futuro governo greco rispetterà gli impegni presi dalla Grecia» nel quadro dei programmi di aggiustamento dei conti pubblici stabiliti assieme ai partner europei.

Un'eventuale uscita della Grecia dall'euro comporterebbe quella che gli economisti chiamano svalutazione competitiva della moneta locale. In questo caso la dracma. Sarebbe vantaggiosa? I benefici di una svalutazione competitiva (moneta più debole e rilancio conseguenziale delle esportazioni) potrebbero però essere vanificati dagli svantaggi di un'uscita dall'euro: alta inflazione, alti tassi di interessi (con aumento dei costi per sostenere il debito pubblico) aumento del costo dei beni importati e ddi quelli prodotti in loco che incorporano materie prime importate.Insomma, i costi di un'uscita della Grecia dall'euro potrebbero essere pesantissimi per Atene. Così come, allo stesso tempo, pesantissime sono le misure di austerity a cui è costretta per ricevere gli aiuti europei del piano di salvataggio.

Grecia sì o Grecia no, l'euro non corre rischi secondo i due economisti di Citigroup che giudicano «molto bassa la probabilità di una frammentazione dell'Unione monetaria».

Secondo Cmc markets «l'uscita della Grecia potrebbe generare una ulteriore incertezza sul futuro dell'euro con effetto domino per quei Paesi che sono già sottopressione come Spagna, Portogallo, Ungheria ed infine Italia. La conseguenza per il nostro Paese sarebbe quella di un aumento dello spread Bund/Btp fino a quando non ci saranno piccoli spiragli di ripresa».


lunedì 7 maggio 2012

ANALISI OBBLIGAZIONARIA RISCHIO

I migliori ed i peggiori bonds analizzando i CDS (Credit Default Swap), rating, nozionale

La volatilità torna regina sui mercati, i dati delle elezioni sicuramente non aiutano. Sarà interessante vedere come si comporteranno i titoli obbligazionari in questo determinato momento storico, visto che i sondaggi danno come molto probabile l’uscita della Grecia dall’Eurozona. Da una parte i titoli rifugio, con il BUND in prima linea (ormai a rendimenti reali enormemente negativi) e dall’altra i titoli di Stato dei paesi periferici.
E proprio a proposito di obbligazioni, vi presento queste slide.
Troverete la classifica dei migliori e peggiori a livello di performance dei CDS nelle categorie:

- Sovereign
- Financials
- Non Financials

Un’ interessante analisi per tastare il polso del mercato e rendersi conto di quali direzioni il mercato obbligazionario sta prendendo in questo momento.

Rischio Titoli di Stato: i migliori ed i peggiori

Rischio Titoli Finanziari: i migliori ed i peggiori

Rischio Titoli Non Finanziari: i migliori ed i peggiori

Il piano Monti all'UE

Tra contatti riservati e pressioni che rimbalzano tra le due sponde dell'Atlantico, prende forma il piano per la crescita che il 28 giugno Mario Monti porterà al Consiglio europeo di Bruxelles. Il premier prende la rincorsa lunga, insieme al ministro Enzo Moavero inizia a sondare i partner già adesso sperando di arrivare al vertice con il maggior consenso possibile. E un ruolo lo svolgerà anche il presidente Usa Obama. Ma intanto preoccupano i conti pubblici: vanno tenuti a bada perché la recessione morde, rischiando di allontanare quell'azzeramento del deficit nel 2013 vitale per mantenere credibilità in Europa e di fronte ai mercati internazionali.

Il piano italiano per riportare il Continente a crescere - e ad uscire dalla letale recessione - è un mix tra misure liberali e keynesiane. Da un lato Palazzo Chigi pressa Bruxelles perché al summit di giugno porti quei testi - chiesti da Roma e in buona parte abbracciati dai partner europei - che obbligheranno le Capitali a fare le liberalizzazioni e ad aprire i loro mercati per far assomigliare l'Ue agli Usa, dove gli investimenti (e il lavoro) tra uno Stato e l'altro non hanno barriere favorendo la crescita. Dall'altro l'Italia ha portato dalla sua Francia e Germania perché il bilancio Ue 2014-2020 - una torta da 430 miliardi - venga usato tutto per la crescita e non a pioggia, come accade oggi. E poi le due carte vitali, almeno per l'Italia: lo scomputo da deficit e debito della spesa pubblica che produce crescita (Golden Rule) e il permesso di saldare i debiti della Pubblica amministrazione verso le imprese (per l'Italia 70 miliardi che stanno ammazzando l'economia) anche in questo caso senza conteggiarli nei parametri di Maastricht. Una moratoria sul deficit, quest'ultima, valida almeno fino all'entrata in vigore del Fiscal compact, il patto sul rigore che le Capitali ratificheranno nei prossimi mesi.

Un pacchetto sul quale Monti ha già sondato Barroso, presidente della Commissione Ue, ma soprattutto la Merkel e Cameron. "Quello di alleggerire i bilanci dai debiti verso le imprese è un modo per rilanciare l'economia e rendere più sostenibile il Fiscal compact", è il ragionamento che Monti fa alle altre cancellerie. Dalle quali, Bundesamt compreso, avrebbe fin qui ricevuto aperture. Così come favorevole sarebbe il quasi presidente francese Hollande. Il calcolo di Palazzo Chigi è dunque che misure fino a poco tempo fa "blasfeme" per i rigoristi del Nord ora potrebbero passare. Tutti si sono resi conto che serve crescita e da domenica sera in Francia potrebbe arrivare Hollande, il cui "Memorandum" europeo per ora riservato (lo presenterà alla Merkel già lunedì a Berlino) darà spinta politica al disegno italiano. Monti nel mirino mette anche gli Eurobond, ma non ora: la battaglia si giocherà in autunno quando la Merkel potrebbe essere pronta a mollare anche su questo versante. Intanto un aiuto sta arrivando dai socialisti tedeschi (Spd), che minacciano la Cancelliera di non darle i voti per ratificare il Fiscalpakt (la firma congiunta del patto in Italia e Germania del 25 giugno potrebbe slittare tra luglio e settembre) se non assicurerà l'ok a misure per il rilancio dell'economia.

Il "piano Monti" potrebbe però dare ai mercati la pericolosa impressione che l'Europa voglia di nuovo indebitarsi. Un autogol - specie per il professore, per il quale il rigore resta necessario - che il premier cerca di evitare rivolgendosi riservatamente a Washington. In questi giorni i rapporti con Obama sembrano essere ancora più forti (in arrivo l'annuncio di una iniziativa diplomatica entro il G20 dei metà mese), con Monti che mira a ottenere dal presidente Usa quella copertura politica al piano capace di rilassare gli investitori globali. Intanto le trame europee del governo si accavallano con la gestione dei conti, sempre più preoccupanti per Monti. A pesare c'è la recessione. La caduta del Pil stimata in dicembre dal Salva-Italia era dello 0,4%. Nei giorni scorsi con il Def si è scesi all'1,2%, ma per il governo il deficit è salito solo dall'1,6 all'1,7%, mentre l'Fmi parla del 2,4%: all'appello mancherebbe almeno mezzo punto di Pil, circa 8 miliardi. Ci sono poi le "spese non rinviabili": missioni internazionali, 5 per mille e autotrasporto. Altri 6-7 miliardi. In più non è detto che il Salva-Italia riesca a raccogliere tutti i 21 miliardi previsti. Se per ora all'orizzonte non c'è nessuna manovra correttiva, quel che esiste è un timore sui conti che può essere valutato tra i 10 e i 20 miliardi. Per questo i tecnici del governo stanno alzando le dighe: ci sono le risorse che arriveranno dalla lotta all'evasione - 12 miliardi nel 2011 e forse di più nel 2012 - per ora non impegnate ma che di certo aiuteranno. Mentre la cartuccia della spesa per interessi, prudentemente posizionata a dicembre su uno spread a 500, potrà essere usata solo in presenza di una forte riduzione del tasso di interesse, ma oggi siamo sempre tra 350 e 400 punti. C'è infine la spending review: 4,2 miliardi da reperire in sette mesi che, con tutta probabilità, serviranno a salvare il Natale - e con esso il Pil - degli italiani. Nei piani di Palazzo Chigi andranno usati per evitare l'aumento dell'Iva previsto per ottobre, rinviandolo almeno fino a gennaio.


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Borse in ribasso dopo le elezioni in Francia e Grecia. Milano a -2 per cento. Spread sopra 400 punti

Mattinata molto nervosa per il Ftse Mib future, che ha esordito con un ampio gap down, cedendo il supporto chiave a 13.600 punti e segnando un nuovo minimo di periodo sotto quota 13.350: da questo livello il derivato ha peraltro iniziato un importante recupero che proprio negli ultimi minuti ha riportato le quotazioni verso 13.600, annullando l'iniziale vuoto di prezzo. Lo scenario si conferma estremamente precario e proprio la ricopertura del gap potrebbe tradursi in una valida opportunità per nuove speculazioni ribassiste: in questo senso diventa molto importante valutare l'evolversi della giornata, perché potrà chiarire se l'esordio settimanale così debole potrà essere lasciato alle spalle o se sarà solo il primo passo di una nuova fase correttiva.

Mercati in Diretta

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Torna su lo spread tra Btp e bund tedesco, complice l'effetto elezioni in Francia e Grecia e il futuro dell'eurozona. Il differenziale prima sfonda i 400 punti, poi ritraccia a 391 e si stabilizza a quota 395, comunque in rialzo rispetto alla chiusura di venerdì: i Btp rendono il 5,52%. La tensione sui titoli di Stato colpisce anche Parigi: lo spread con i bund è in salita a 130 punti base, mentre i titoli tedeschi si confermano ancora bene rifugio per eccellenza. Il decennale di Berlino ha toccato un nuovo minimo storico con un rendimento all'1,562%, nettamente inferiore al tasso medio d'inflazione.

Sul fronte macroeconomico c'è da registrare l'ennesima frenata della produzione industriale spagnola che a marzo ha fatto segnare un -7,5% dopo il -5,3% di febbraio. A gennaio, la produzione industriale era calata del 4,4% mentre sull'intero 2011 era scesa dell'1,8%.

Venerdì Wall Street ha terminato in forte ribasso dopo che il rapporto sull'occupazione ha fotografato un'America ancora in difficoltà e riportato gli investitori a temere per lo stato della ripresa economica. I listini hanno quindi concluso con cali elevati: per l'S&P, che ha finito la settimana sotto del 2,44%, si è trattato della peggiore performance settimanale dal 16 dicembre, mentre il Nasdaq ha chiuso la settimana con un debito del 3,7%, il maggiore del 2012.

E le elezioni pesano anche sui mercati valutari, con l'euro in calo su dollaro e yen. La moneta unica è a 1,2962 dollari, ai minimi degli ultimi 4 mesi, e cede anche sullo divisa nipponica, a quota 103,47, mentre la divisa nipponica è stabile sul biglietto verde a 79,83. A questo proposito il governo giapponese ha spiegato di monitorare con attenzione i mercati valutari a causa di possibili "movimenti speculativi" dovuti all'incertezza politica in Eurolandia. Il ministro delle Finanze, Jun Azumi teme che i risultati elettorali "sommino fattori destabilizzanti che spingono i listini azionari in basso e lo yen un pò più alto su dollaro ed euro".

Listini del petrolio in pesante caduta sui mercati asiatici dopo la tornata elettorale in Francia e Grecia. Il Wti con consegna a giugno torna ai minimi da oltre 4 mesi, perdendo il 3,2% a 95,34 dollari. In calo anche il Brent europeo (-0,7%) a 112,39 dollari. Oro in calo dello 0,5% a 1.638,80 dollari l'oncia.

Situazione Europa

I risultati delle urne da Parigi , Atene e Berlino sono ancora caldi, ma i mercati non fanno attendere la loro reazione. Milano ha aperto in flessione del 2,22%, prima di ritracciare a -1,3%. Male, anche i principali listini europei: Francoforte cede l'1,8%, Parigi l'1,4%, mentre Londra è chiusa per "Bank holiday". Atene perde oltre il 7% sui timori che non si riesca a formare il nuovo governo. La Borsa di Tokyo ha chiuso la prima seduta dopo un lungo week-end festivo in profondo rosso: -2,78%. Giù anche le altre Borse asiatiche: Hong Kong perde il 2,52%, mentre Shanghai termina invariata e Seul chiude ai minimi da tre mesi, in calo dell'1,64%. I timori degli investitori sono legati alle incertezze sul fatto che l'Eurozona riesca a mantenere la politica di rigore dei conti vista dai mercati come cruciale per risolvere la crisi del debito sovrano.

L'agenzia di rating Standard & Poor's prova però a tranquillizzare i mercati e in comunicato spiega che la vittoria del socialista Francois Hollande alle presidenziali francesi non avrà un "impatto immediato" sul merito di credito del paese o sul suo outlook. S&P, a gennaio, aveva già abbassato
il suo giudizio sulla Francia dalla tripla A ad "Aa+" con outlook negativo, il che implica - come ricorda la nota - che c'è "un terzo delle possibilità" che il rating sia abbassato quest'anno o nel 2013.


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